mercoledì 22 novembre 2006

Bechy Bloomwood

Chi è? Beh, lo sappiamo un po’ tutti, forse. Bechy è la protagonista dei libri di Sophie Kinsella. Bechy è quello che c’è un po’ in tutti noi. Bechy è l’incoscienza del nostro portafogli. Ho letto da qualche parte che comprare è terapeutico. Trascorrere qualche oretta a spendere un po’ di soldi equivale a stare un po’ meglio. Vero, vero, verissimo. Il problema è riuscire ad avere abbastanza denaro da farla diventare una terapia giornaliera. La sensazione di euforia quando entri in un negozio, per qualcuno equivale a volte a provare un piacere quasi sessuale. Essere circondati da decine di vestiti, oggetti e accessori, fa scattare nella nostra testa un qualcosa di folle. Stai lì, a guardare, provare ed immaginare, e già ti vedi con quel capo addosso, ti immagini bella, sexy e pensi quanto potrai essere guardata e quanto ti sentirai bene.
Ti senti come febbricitante e pensi che senza quel vestito o quelle scarpe, non saresti felice. E noi abbiamo diritto ad esserlo. Poi, d’un tratto, senza accorgertene, sei alla cassa sorridente, guardando la commessa come se fosse la tua migliore amica. Ti senti così buona che fai passare avanti qualcuno che ti dice che ha fretta. Esci quasi saltellando dal negozio, ti sembra che tutti ti sorridano e credi che avendo acquistato quella cosa il mondo ti concederà un’opportunità in più. Poco importa se stai comprando qualcosa che non potevi permetterti, vuoi mettere la felicità di avere fra le mani quel sacchetto che la commessa ci ha dato? Esci dal negozio e pensi che probabilmente fra qualche giorno, tornerai a prendere quell’altra cosa carina che avevi visto. Che importa se stiamo dilapidando ciò che abbiamo guadagnato con tanta fatica?
Perché anch’io non posso essere come Carrie Bradshaw? Perché non posso comprare tutte le scarpe di Manolo Blanick senza sentirmi colpa? Io non voglio sentirmi in colpa per qualcosa che mi fa stare bene. Ah già, i soldi. Quei pezzi di carta che tanto ci condizionano la vita, tanto da aspettare mesi e saldi per riuscire a comprare. Ma se comprare può essere terapeutico, perché non viene prescritto dai medici come cura? Ci si potrebbe provare a pagare il ticket per una certa quantità di vestiti. E più stai male e più ti è concesso comprare. A chi farebbe male? All’estratto conto? Inezie.

martedì 21 novembre 2006

15 anni fa

Image by: Esther Watson

Avevo 18 anni quando un giorno andai in gita con degli amici. Ci eravamo messi in testa di fare una cosa bucolica e cercare di capire cosa la natura aveva da offrire. A 18 anni si è tante cose e si vorrebbe essere in tanti modi. Le idee, le passioni, i sogni. Si leggeva Siddharta e si cercava di apprendere da Gibran. Un mio amico era appena venuto fuori controvoglia da una storia di due anni col suo eterno amore e nessuno di noi riusciva a spiegargli che c’era tutta la vita per dimenticare e divertirsi. Ma non per lui, che continuava a ripetere: Lei e nessun’altra. Eravamo scesi dalla macchina e ci stavamo accingendo ad incamminarci su un sentiero alquanto irto. Ridevamo se qualcuno cadeva e mangiavamo strada facendo i panini portati. Dopo mezz’ora già stanchi, ci siamo seduti in una specie di radura e ci siamo riposati. Si udiva belare e poco dopo eravamo attorniati da una trentina di capre. Il pastore sopraggiunse subito dopo e ci chiese se avevamo acqua. Si sedette vicino a noi e cominciò a parlare e ad incuriosirsi del perché eravamo finiti in quel posto così lontano dal centro abitato. Sottovoce per non farmi sentire spiegai che doveva servire da svago per il nostro amico. L’anziano pastore rimase un po’ stranito dalla nostra superficialità verso lo stato d’animo del nostro compagno. Prese il bastone col quale si accompagnava e con un piccolo coltellino cominciò ad intagliarlo. Nel farlo, iniziò a raccontare che alla nostra età aveva conosciuto una ragazza, della quale si era innamorato. Lui allora, spiegava, non era pastore, ma lavorava in un negozio di generi alimentari, e così aveva la possibilità di vedere sempre la ragazza. Anche la ragazza sembrava presa da lui e dopo qualche tempo, si fidanzarono. Il pastore raccontava di quanto felice lui fosse, di quanto si sentiva meglio, di come si alzava felice la mattina e di come la notte non gli mettesse più tristezza. La famiglia della ragazza, cominciò presto a pretendere che si discutesse di matrimonio, ma lui, povero in canna e che poco poteva chiedere alla famiglia, era in imbarazzo. Spiegò che gli occorreva del tempo per mettere i soldi da parte, ma non fu più accolto bene in casa della ragazza. Costei, dal canto suo, aveva cambiato il suo modo di parlargli e dimostrargli il proprio affetto. Lui non sapeva come risolvere la situazione e sapendo dove il padrone teneva la cassaforte, decise di rubare un po’ di soldi alla volta e metterli da parte. In una quindicina di giorni, aveva la cifra giusta per passare ai fatti. Lui era innamorato di lei, e non osava pensare cosa avrebbe fatto se la famiglia l’avesse obbligata a sposare un altro in condizioni migliori. Si decise la data del matrimonio, ma non si sa come né perché, il padrone si accorse dell’ammanco e l’accusò apertamente del furto. Passò circa un mese in carcere. Giorni passati a pensare a lei, a cosa poteva pensare di lui e cosa avesse deciso. Non una volta la vide arrivare in carcere per parlare con lui, ma lui trovava sempre un motivo per giustificarla. Una volta uscito, non andò neanche dalla madre, ma corse subito a casa di lei. Gli sembrava che in tutti quei giorni passati lontani, gli fosse mancata l’aria per respirare. Non fu ben accolto, anzi, il suocero lo aveva cacciato in malo modo, dicendogli chiaramente di non farsi più vedere, perché non era una persona gradita. Nonostante le sue richieste, non riuscì a vederla. Conosceva le sue abitudini e la mattina seguente si fece trovare all’uscita della chiesa. Lei non sembrava sorpresa. Lui vide il suo sorriso e gli bastò a fargli scordare la tristezza di quel mese. Cercò di spiegarle perché lo aveva fatto, ma lei rimaneva muta. Poi, lo prese per un braccio e lo trascinò in aperta campagna. Lì, lei si donò a lui, senza se e senza ma. In silenzio, ma guardandolo negli occhi, gli disse tutto il suo amore. “Non dimenticherò mai il sapore delle sue labbra – disse il pastore – sapevano di miele, ed ancora me lo ricordo”. Fatto sta, che dopo essersi amati follemente, lei gli comunicò che dopo qualche mese si sarebbe sposata. Suo padre l’aveva obbligata a farlo e lei non aveva forza né coraggio per disobbedirgli.
Al pastore sembrò quasi di sentire il rumore del suo cuore mentre si spezzava. Un dolore lancinante alla bocca dello stomaco lo piegò in due e mentre lei correva via, versò tutte le lacrime di una vita. “Non riuscii in alcun modo a rimediare alla cosa. Ero talmente disperato che andai a vederla in chiesa mentre si sposava. Pensavo che lei era stata mia, che lui non avrebbe mai avuto accesso al suo cuore, perché lei amava me, ma questo non mi consolava”.
Lasciò la sua casa e se venne in montagna. Voleva stare da solo per sempre. Da solo con il ricordo di lei. Una settimana dopo, un tale lo aveva convinto a badare al gregge di un contadino dovuto emigrare. Mentre saliva su per la montagna, sentì una voce che lo chiamava. Pensò che la sua folle idea continuava a perseguitarlo e non ci volle fare caso. La voce però continuava a chiamarlo, allora si fermò e attese. Fu un colpo vederla correre verso di lui.
Gli sembrò che il cuore gli stesse per scoppiare. La vide venirgli incontro, e si accorse che lei aveva la faccia e le braccia coperte di lividi. Capì cosa era potuto succedere. L’abbracciò stretta e la cullò per molto tempo. Poi lei si staccò e gli disse risoluta : “E adesso non ti lascio più”.
- E come è finita? – chiese il mio amico rinvenuto dal suo stato di torpore
- Non è finita. Sono passati quaranta anni, e lei è sempre con me, che mi aspetta a casa, con le labbra che sanno del miele più dolce –
Io stavo per mettermi a piangere, quella storia aveva commosso me, figuriamoci il mio amico dal cuore spezzato.
- Vedi, quello che ti volevo fare capire, è che anche se hai questa età e i tuoi amici non prendono sul serio quello che provi, io ti capisco. Quello che ti posso dire è che l’amore è costruito sul dolore e sull’incomprensione degli altri. Devi imparare dal dolore. Il resto succederà, sia che tu lo voglia sia che non lo voglia. Se tu sai che è questa la ragazza alla quale ti senti di appartenere, sarà destino che starete insieme, ma non sarà per compito tuo che questo accadrà. Succederà e basta –
Adesso sono passati quindici anni, e quell’incontro, quelle parole non le ho mai scordate. Penso che cantava bene Venditti quando diceva “Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”. Ho cercato di imprimermi nella memoria il ricordo della storia di quel pastore. So che aveva ragione. Lo so perché, non so come né quando, il mio amico, dopo un viaggio introspettivo durato anni, mi ha chiamato e mi ha annunciato che si sarebbe sposato. Con lei.



Film: PRIMA DAMMI UN BACIO
Libri: SULLA SPONDA DEL FIUME PIEDRA MI SONO SEDUTA E HO PIANTO (P. Coelho)
Musica: AMICI MAI (A. Venditti) , QUANTO TEMPO E ANCORA (B. Antonacci)

lunedì 20 novembre 2006

Maid in Manhattan


C'era una parte di me che voleva sapere come ci si sente ad avere qualcuno come te che ti guarda come mi hai guardato tu quella volta. Marisa Ventura al senatore Chris Marshall in Maid in Manhattan

La mano che governa sul cuore

SHE
Lei il viso che non scorderai
L’orgoglio ed il coraggio lei
Come un tesoro l’oro dentro gli occhi suoi
Lei l'estate che ricanterai il giorno che ricorderai
e mille cose che non sai
che può insegnarti solo lei lei
la tua ragione il tuo perché
il centro del tuo vivere la luce di un mattino che,
che non perderai lei
lo specchio dove tornerai
dove ti riconoscerai
semplicemente come sei, uguale a lei.
Lei l'estate che ricanterai
il giorno che ricorderai
e mille cose che non sai
che può insegnarti solo lei
lei regala i suoi sorrisi senza mai
svelare al mondo quando non ne ha
privando il suo dolore libertà, l
ei forse è l'amore che non ha pietà
che ti arricchisce con la povertà
di un gesto semplice che eternità
lei la tua ragione il tuo perché
il centro del tuo vivere
la luce di un mattino che,
che non perderai lei
lo specchio dove tornerai
dove ti riconoscerai
semplicemente come sei
esattamente come lei
L. PAUSINI

Ciò che credo

Non è vero che d’amore non si muore. Si muore eccome, basta vedere attorno a sé, quante anime calpestate da un sentimento rivelatosi poi falso o a senso unico, perdano l’essenza della vita. Anni fa mi è capitato di vedere un film con la Neri e Giannini che mi ha dato modo di pensare. Non ho valutato se fosse stato un bel film o meno, ma so che mi ha dato la consapevolezza che c’è un lato dell’amore che preferiamo ignorare, ma che esiste, perché non ci conviene sapere che uno strappo, una lacerazione del cuore ti può ridurre in fin di vita, forse non nel senso fisico del termine, ma in quello umano. Ho sempre invidiato quelle persone che riescono a non dare troppo di sé in un rapporto per evitare di spezzarsi. Non ho mai capito che misura adottassero per non andare oltre un certo punto. Come diavolo fai a misurare la quantità da dare? A volte penso che bisognerebbe avere la capacità di trovare e provare la quantità esatta, ad esempio come si fa con i campioncini gratuiti di creme e cosmetici. Provi, vedi se va bene per la tua pelle, poi ti informi se il prezzo da pagare per l’intera confezione è troppo alto e in tal caso indietreggi. Ma ragione e logica non s’inseriscono molto bene in un contesto amoroso, credo. Un cuore spezzato, non ce la fa a capire. Hai voglia a sentire tutte le frasi fatte o i luoghi comuni che amici e parenti dicono per alleviarti la sofferenza. “Bisogna farsene una ragione”: come fai entrare la ragione in un sentimento che arriva dal cuore? La ragione che c’azzecca con l’amore? “ Il tempo guarisce tutte le ferite”: obietto anche in questo caso. Quali ferite guarisce? Il dolore provato, la speranza delusa, l’annichilimento, non te li scordi. “Tutto nella vita serve da esperienza”: ma non è che uno può farsi esperienze di una certa portata solo per fare esperienza. Esperienza di che? Cosa impari da una esperienza del genere? Che forse è meglio non fare di queste esperienze? Ma per favore! Se tu sei sicuro, perché lo senti nel cuore, che la persona a cui hai donato l’accesso incondizionato ai tuoi sentimenti è quella che cercavi, come fai a fartene una ragione, o ad avere la freddezza di comprendere che comunque è stata un’esperienza che ti ha arricchito? Di che ti arricchisce? Io credo che quando una storia, una persona, te li scordi, perché il tempo fa il suo lavoro, credo che quello non sia stato vero amore, ma un qualcos’altro che è sembrato tale e che per questo finisce. Se una cosa c’è o c’è stata, continua ad esserci. E l’amore esiste? Intendo quello vero. Viene decantato nei libri, nei film, nelle parole e nella vita. C’è, o come dice Verdone è eterno finchè dura? Io ho la prova che c’è, ma credo che certe persone non dovrebbero avere la possibilità di incontrarne altre. Non dovrebbero averne la possibilità perché inevitabilmente uno amerà sul serio e l’altro no. Se Fabio Volo scrive che la metà che cerchiamo di cui parla Platone, è una parte di noi stessi e non un altro individuo, voglio dissentire. Noi cerchiamo veramente un’altra persona, perché ci completa, perché ci capisce, perché ci fa piangere, e perché ci fa ridere. Se l’altra metà siamo noi, che bisogno ci sarebbe di stare con qualcuno mettendoci il cuore? Che piacere ne gioveremmo a guarire dalla solitudine o alleviare i problemi e le dissonanze di un altro? Potremmo limitarci solo a fare del sesso e tutto finisce lì, se l’altra metà che ci completa siamo noi. L’amore vero non finisce, finisce altro, non quello vero. Esiste invece, come ne scrive anche Paulo Coelho, lo Zahir, che assorbe i tuoi interi pensieri. Un amore che interrotto dall’esigenza dello spirito di fare altro, inevitabilmente ritorna, lo ritrovi, perché quello è il tuo amore. Passeranno giorni, mesi e forse anche anni, ma ritorna. Se tu hai dato amore, se lo hai riconosciuto fra tanti come tale, quella persona, è legata a te, se anche per questo è scattato il sentimento. Ci stordiamo con chiacchiere melense, con ricordi atroci quando basterebbe ascoltare anziché sentire. Di che abbiamo paura? Di scoprire che bisogna solo lasciarsi andare a qualcosa di sconosciuto e di cui non hai il controllo? La paura ti assale perché ne riconosci la forza e forse non hai gli attributi per saperlo affrontare e vivere. Allora la mente ti gioca un brutto scherzo, perché allontani metà mela e ti convinci che vuoi una persona meno consistente ma con cui sai di non correre troppi rischi. Ci fortifichiamo e per farlo ci prendiamo gioco dei sentimenti di un altro. E’ probabile che anagrammando la parola mela la versione a lei più vicina sia male? E ritorno alla frase che apre questo post, si muore, perché quando riconosci la tua metà ma ti viene impedito di unirti a lei, ti senti morire, perché non la ritroverai più se non nei tuoi sogni. E allora come vivi? Come lo dai un senso alla vita? Non riesci a farcela, non senti le forze per tornare in superficie e affoghi. E tu che rifiuti e neghi non sai che metà mela ti ha creduto, ha avuto fiducia, ha guardato nei tuoi occhi e ha visto, perché come dice Shakespeare: to hear with eyes belongs to love’s fine wit (udire con gli occhi è finezza d’amore).


Film: PER SEMPRE
Libri: UN POSTO NEL MONDO (F.Volo), LO ZAHIR (P.Coelho)
Musica: FEEL AGAIN (Glenn Lewis), SOLO LEI MI DA’ (Sugarfree)